Giurisprudenza
In questa sentenza la Cassazione dà
una sorta di decalogo, guida, per il risarcimento del derivante da fatto
illecito.
L’attenzione si focalizza sul danno
alla salute e in particolare a quei danni che riguardano la persona, ma
che non producono un danno alla salute, risarcibili, ex art. 2059 c.c.
solo se ledono interessi costituzionalmente protetti.
Cassazione civile, sezione terza,
ordinanza del 27.03.2018, n. 7513
1) L’ordinamento prevede e
disciplina soltanto due categorie di danni: quello patrimoniale e quello
non patrimoniale.
2) Il danno non patrimoniale (come
quello patrimoniale) costituisce una categoria giuridicamente (anche se
non fenomeno logicamente) unitaria.
3) “Categoria unitaria” vuol dire che
qualsiasi pregiudizio non patrimoniale sarà soggetto alle medesime
regole e ad i medesimi criteri risarcitori (artt. 1223, 1226, 2056, 2059
c.c.).
4) Nella liquidazione del danno non
patrimoniale il giudice deve, da un lato, prendere in esame tutte le
conseguenze dannose dell’illecito; e dall’altro evitare di attribuire
nomi diversi a pregiudizi identici.
5) In sede istruttoria, il giudice
deve procedere ad un articolato e approfondito accertamento, in concreto
e non in astratto, dell’effettiva sussistenza dei pregiudizi affermati
(o negati) dalle parti, all’uopo dando ingresso a tutti i necessari
mezzi di prova, opportunamente accertando in special modo se, come e
quanto sia mutata la condizione della vittima rispetto alla vita
condotta prima del fatto illecito; utilizzando anche, ma senza
rifugiarvisi aprioristicamente, il fatto notorio, le massime di
esperienza e le presunzioni, e senza procedere ad alcun automatismo
risarcitorio.
6) In presenza d’un danno permanente
alla salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta
attribuzione d’una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno
biologico, e l’attribuzione d’una ulteriore somma a titolo di
risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado
percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività
quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla
perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale).
7) In presenza d’un danno permanente
alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o
dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di
merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere
aumentata solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale ed
affatto peculiari. Le conseguenze dannose da ritenersi normali e
indefettibili secondo l’id quod plerumque accidit (ovvero quelle che
qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire)
non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.
8) In presenza d’un danno alla salute,
non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione
d’una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e
d’una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non
hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed
estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di
invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali,
ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la
paura, la disperazione).
9) Ove sia correttamente dedotta ed
adeguatamente provata l’esistenza d’uno di tali pregiudizi non aventi
base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata
valutazione e liquidazione (come è confermato, oggi, dal testo degli
artt. 138 e 139 cod. ass., così come modificati della L. 4 agosto 2017,
n. 124, art. 1, comma 17, nella parte in cui, sotto l’unitaria
definizione di “danno non patrimoniale”, distinguono il danno dinamico
relazionale causato dalle lesioni da quello “morale”).
10) Il danno non patrimoniale non
derivante da una lesione della salute, ma conseguente alla lesione di
altri interessi costituzionalmente tutelati, va liquidato, non
diversamente che nel caso di danno biologico, tenendo conto tanto dei
pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con se stessa (la
sofferenza interiore e il sentimento di afflizione in tutte le sue
possibili forme, id est il danno morale interiore), quanto di quelli
relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto
leso. Nell’uno come nell’altro caso, senza automatismi risarcitori e
dopo accurata ed approfondita istruttoria. Fonte: la Nuova Procedura civile, aprile 2018.
Questa massima non è facilmente collocabile all'interno dei vari argomenti del manuale, ma è indubbiamente interessante;
Cass. civ., Sez. I, 14 maggio 2018, n. 11695 In
materia di concessione abusiva del credito, sussiste la responsabilità
della banca, che finanzi un'impresa insolvente e ne ritardi perciò il
fallimento, nei confronti dei terzi, che in ragione di ciò abbiano
confidato nella sua solvibilità ed abbiano continuato ad intrattenere
rapporti contrattuali con essa, allorché sia provato che i terzi non
fossero a conoscenza dello stato di insolvenza e che tale mancanza di
conoscenza non fosse imputabile a colpa.
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