Giurisprudenza

 

Sulla risarcibilità degli interessi legittimi; rapporto tra annullamento dell’atto amministrativo e risarcibilità dell’interesse legittimo.

 

Cons. Stato Sez. III, 23-01-2015, n. 302

L'annullamento giurisdizionale del provvedimento amministrativo che non reca alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita coinvolto dal provvedimento caducato ope iudicis non può costituire il presupposto per l'accoglimento della domanda di risarcimento del danno, posto che soltanto qualora sia stata accertata la spettanza del c.d. "bene della vita", che costituisce il presupposto indispensabile in materia di risarcimento degli interessi legittimi di tipo pretensivo, si può configurare una condanna dell'Amministrazione al risarcimento del relativo danno (art. 2043 c.c.) (Riforma della sentenza del T.a.r. Lombardia, Milano, sez. III, n. 1620/2013).

FONTI Massima redazionale della De Agostini Giuridica 2015

 

 

Cons. Stato Sez. IV, 04-09-2013, n. 4452

La richiesta di accertamento del danno da ritardo, ovvero del danno derivante dalla tardiva emanazione di un provvedimento amministrativo favorevole, se, da un lato, deve essere ricondotta al danno da lesione di interessi legittimi pretensivi, per l'ontologica natura delle posizioni fatte valere, dall'altro lato, in ossequio al principio di atipicità dell'illecito civile, costituisce una fattispecie sui generis, del tutto specifica e peculiare, che deve essere ricondotta nell'alveo dell'art. 2043 c.c. per l'identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità ivi prevista, con la prima conseguenza che non è possibile presumersi danno risarcibile da ritardo iuris tantum, necessitando la prova degli elementi costitutivi. Del pari, occorre verificare la sussistenza dei presupposti di carattere oggettivo (ingiustizia del danno, nesso causale, prova del pregiudizio subito), nonché quelli di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante), dovendosi, con riferimento a questi ultimi profili di configurazione dell'illecito aquiliano in capo alla P.A., dare contezza degli elementi univoci indicativi della sussistenza della colpa dell'amministrazione (Riforma della sentenza del T.a.r. Lazio - Roma, sez. II, n. 5556/2012). FONTI  De Agostini Giuridica 2013

 

Cass. civ. Sez. III, 28-10-2010, n. 22021

Ai fini del risarcimento del danno derivante da lesione di interessi legittimi è necessario l'accertamento in concreto della colpa riconducibile all'amministrazione che ha adottato l'atto, non essendo al contrario sufficiente la prova dell'illegittimità dell'atto stesso.

FONTI Giur. It., 2011, 6, 1413

 

Cass. civ. Sez. Unite Sent., 23-12-2008, n. 30254

Proposta al giudice amministrativo domanda autonoma di condanna al risarcimento del danno da esercizio illegittimo della funzione amministrativa, è viziata da violazione di norme sulla giurisdizione ed è soggetta a cassazione per motivi a ciò attinenti la decisione del giudice amministrativo che nega la tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l'illegittimità dell'atto debba essere stata precedentemente richiesta e dichiarata in sede di annullamento.

FONTI Foro It., 2009.

 

Sugli elementi per la responsabilità della pubblica amministrazione ex art. 2043 c.c.; sono quelli previsti dallo stesso articolo.

 

 

Cons. Stato Sez. V, 22-01-2015, n. 282

Si rinvengono negli elementi tipici dell'illecito extracontrattuale gli estremi indefettibili per l'individuazione della responsabilità civile in capo all'amministrazione: 1) l'elemento oggettivo; 2) l'elemento soggettivo; 3) il nesso di causalità materiale o strutturale; 4) il danno ingiusto (art. 2043 c.c.) (Conferma della sentenza del T.a.r. Calabria, Catanzaro, sez. I, n. 619/2008).

FONTI De Agostini Giuridica, 2015

Questa è una massima molto interessante, non tanto per il fatto in sé, ma per il fatto che indaga sull’interruzione del nesso di causalità dovuta alla “causa prossima di rilievo” . Non è espresso nella massima cosa sia esattamente questa causa prossima di rilievo, ma si può ritenere che sia quella causa che per la sua efficienza causale, rispetto alle altre che hanno determinato l’evento, abbia avuto efficacia assorbente rispetto alle altre( vedi art. 41 c.p.); nel caso specifico sembra condivisibile l’atteggiamento della Cassazione circa il fatto che se un soggetto perfettamente consapevole ( perché è dato noto) dei rischi del fumo decide comunque di fumare magari in maniera intensa, non può poi chiedere il risarcimento del danno ai distributori di sigarette.

 

Cass. civ., Sez. III, 10 maggio 2018, n. 11272

Va esclusa la sussistenza del nesso causale tra la condotta dei produttori e distributori di sigarette ed il danno derivato al soggetto in conseguenza del fumo, per avere essi incluso nel tabacco sostanze tali da generale uno stato di bisogno imperioso con dipendenza psichica e fisica.

Rileva, in tal senso, da un lato la circostanza che la dannosità del fumo costituisce da tempo dato di comune esperienza, di talché non può enfatizzarsi, per sostenere la pretesa risarcitoria, il ruolo dell'avvertenza introdotta dall' art. 46 della legge n. 428 del 1990, e, dall'altro, il fatto che anche a voler configurare una responsabilità ex artt. 2043 e 2050 c.c. in capo al produttore, si perverrebbe ugualmente ad escludere il nesso di causalità in applicazione del principio della causa prossima di rilievo, costituito nella fattispecie da un atto di volizione libero, consapevole ed autonomo di soggetto dotato di capacità di agire, quale scelta di fumare nonostante la notoria nocività del fumo, a maggior ragione in una fattispecie caratterizzata da abuso (come nella specie).

Fonte De Agostini Giuridica, 2018

 

Il nesso di causalità ex art. 2043 c.c. è lo stesso di quello previsto dagli articoli 40 e 41 c.p. si pongono problemi in caso di omissione; in questa interessante sentenza la cassazione ritiene realizzato il nesso di causalità ( o almeno si può presumere che si sia realizzato) in quanto si è realizzato il rischio che l’osservanza della regola di condotta voleva evitare.

 

Cass. civ. Sez. III, 23-01-2014, n. 1355

Il nesso causale fra l'omissione, da parte del Ministero della salute, dell'attività di controllo e vigilanza in ordine alla pratica terapeutica dell'uso degli emoderivati e il contagio dovuto alla trasfusione di sangue infetto rimane presuntivamente provato in caso di concretizzazione del rischio che la regola di condotta violata tende a prevenire, vale a dire quello di impedire la trasmissione di malattie mediante il sangue infetto.

In particolare, il suddetto collegamento eziologico sussiste a partire dalla data di conoscenza dell'epatite B, anche per il contagio dovuto a virus isolati in epoca successiva, dal momento che l'infezione derivante da ciascun agente patogeno non si risolve in un evento autonomo e diverso dagli altri, ma solamente in forme di manifestazione dello stesso evento lesivo dell'integrità fisica da virus veicolati dal sangue infetto.

FONTI Nuova Giur. Civ., 2014

 

Il problema delle concause quando nessuna sembra avere efficacia esclusiva dell’evento; in questa sentenza al cassazione dà al giudice del merito il compito di valutare quale abbia avuto efficacia esclusiva dell’evento, che pure si è verificato.

E’ da notare che la cassazione, almeno in sede civile, applica per l’individuazione del nesso di causalità, il criterio del “più probabile che non” ; si tratta, evidentemente, di un criterio cui si ricorre quando un evento si è verificato, ma non si ha la certezza matematica della causa che l’ha provocato; certo è che se non riesce neppure con questo criterio a accertare il nesso di causalità non si può far altro che escluderlo.

 

Cass. civ. Sez. III, 22-10-2013, n. 23933 (rv. 629110)

In tema di responsabilità aquilana, nella comparazione delle diverse concause, nessuna delle quali appaia del tutto inverosimile e senza che una sola assuma con evidenza una efficacia esclusiva rispetto all'evento, è compito del giudice valutare quale di esse appaia "più probabile che non" rispetto alle altre nella determinazione dell'evento. Ne consegue che, nell'ipotesi in cui si sostenga l'esistenza d'un nesso causale tra la condotta posta in essere da organi della P.A. per il depistaggio di indagini giudiziarie, avviate a seguito di un disastro aereo, e il danno da fallimento della compagnia aerea proprietaria del velivolo coinvolto nel disastro, la cui immagine si lamenta essere stata lesa dal depistaggio finalizzato ad avvalorare la tesi del cedimento strutturale dell'aereo e dell'inaffidabilità tecnica e commerciale della compagnia, è incongruo limitarsi ad attribuire alla situazione di preesistente dissesto finanziario - desunto dalla revoca della concessione di volo intervenuta sei mesi dopo il disastro - la causa del fallimento della società, e del danno da questo derivante, essendo invece necessario comparare le concause, verificando in concreto se la situazione di irrecuperabile dissesto fosse effettivamente preesistente al disastro aereo, oppure se uno stato debitorio non patologico per una compagnia aerea si sia aggravato in modo decisivo proprio per la riconosciuta attività di depistaggio con discredito commerciale.

FONTI CED Cassazione, 2013

 

In questa sentenza la cassazione scompone il giudizio sul nesso di causalità in due fasi; una probabilistica, e l’altra giuridica ex art. 1223 c.c. espressamente richiamato dall’art. 2056 c.c. per la responsabilità extra contrattuale.

 

Cass. civ. Sez. III, 17-09-2013, n. 21255

In tema di illecito civile, la ricostruzione del nesso di derivazione eziologica esistente tra la condotta del danneggiante e la conseguenza dannosa risarcibile implica la scomposizione del giudizio causale in due autonomi e consecutivi segmenti, il primo volto ad identificare - in applicazione del criterio del "più probabile che non" - il nesso di causalità materiale che lega la condotta all'evento di danno, il secondo essendo diretto, invece, ad accertare il nesso di causalità giuridica che lega tale evento alle conseguenze dannose risarcibili, accertamento, quest'ultimo, da compiersi in applicazione dell'art. 1223 cod. civ., norma che pone essa stessa una regola eziologica. (Cassa e decide nel merito, App. Milano, 09/07/2011)

FONTI CED Cassazione, 2013

 

Cass. civ. Sez. III, 19-02-2013, n. 4043

In tema di responsabilità civile, perché sorga un'obbligazione risarcitoria aquiliana occorre non soltanto un fatto lesivo, retto dalla causalità materiale, ma anche un danno conseguenza di questo, retto dalla causalità giuridica, la cui imputazione presuppone il riscontro di alcuna delle fattispecie normative ex artt. 2043 e segg. cod. civ., consistenti tutte nella descrizione di un nesso, che leghi storicamente un evento ad una condotta, a cose o ad accadimenti di altra natura, collegati con una particolare relazione al soggetto chiamato a rispondere. (Rigetta, App. Caltanissetta, 07/11/2008)

FONTI CED Cassazione, 2013

 

 

La causalità nell’omissione sussiste quando vi sia un obbligo giuridico non osservato (art. 40 comma 2 c.p.); la cassazione in questa sentenza specifica questo aspetto dell’omissione.

 

Cass. civ. Sez. III, 21-05-2013, n. 12401 (rv. 626478)

In tema di responsabilità civile, poiché l'omissione di un certo comportamento rileva, quale condizione determinativa del processo causale dell'evento dannoso, soltanto quando si tratti di omissione di condotta imposta da una norma giuridica specifica (omissione specifica), ovvero, in relazione al configurarsi della posizione del soggetto cui si addebita l'omissione, siccome implicante l'esistenza a suo carico di particolari obblighi di prevenzione dell'evento poi verificatosi e, quindi, di un generico dovere di intervento (omissione generica) in funzione dell'impedimento di quell'evento, il giudizio relativo alla sussistenza del nesso causale non può limitarsi alla mera valutazione della materialità fattuale, bensì postula la preventiva individuazione dell'obbligo specifico o generico di tenere la condotta omessa in capo al soggetto;

l'individuazione di tale obbligo si connota, pertanto, come preliminare all'apprezzamento di una condotta omissiva sul piano della causalità giuridica, nel senso che, se prima non si individua, in relazione al comportamento che non risulti tenuto, il dovere generico o specifico che lo imponeva, non è possibile apprezzare l'omissione del comportamento sul piano causale. (Cassa e decide nel merito, App. Napoli, 22/02/2008)

FONTI CED Cassazione, 2013