Giurisprudenza.

 


Cass. civ. Sez. lavoro, 15-11-2017, n. 27108

In tema di impresa familiare (art. 230 bis c.c.), la quota di partecipazione del familiare partecipante, che va determinata esclusivamente in ragione della quantità e qualità del lavoro prestato nell'impresa, è relativa nella stessa misura tanto agli utili che agli incrementi, siano essi materiali o immateriali.

FONTI 
Famiglia e Diritto, 2018, 1, 80 

 

Cass. civ. Sez. lavoro Ordinanza, 25-08-2017, n. 20406

Posto che il titolare dell'impresa familiare è gravato degli obblighi di prevenzione in materia di salute e sicurezza, il collaboratore che presti attività, pur al di fuori del rapporto di lavoro subordinato o societario, ha diritto alla tutela assicurativa, sicché, in caso di decesso conseguente a grave infortunio sul lavoro, ai superstiti va riconosciuta la corrispondente rendita.

FONTI 
Foro It., 2017, 11, 1, 3324 

 

Cass. civ. Sez. lavoro, 21-04-2017, n. 10147

In tema di impresa familiare, è sufficiente, ai fini dell'operatività della prelazione di cui all'art. 230-bis, comma 5, c.c. , una volta accertata la partecipazione all'attività, che vi sia stato un trasferimento d'azienda affinché il familiare partecipe possa essere messo nelle condizioni di esercitare il proprio diritto, risultando del tutto ininfluente che la cessione avvenga mediante conferimento in una società di persone, di cui il titolare dell'azienda stessa conservi un ruolo dominante quale socio illimitatamente responsabile ed amministratore, poiché la norma tutela il familiare estromesso e non colui che sia stato incluso nella vicenda traslativa, senza che rilevi il requisito dell'estraneità di cui all'art. 732 c.c. , norma richiamata dall'art. 230-bis solo "in quanto compatibile". (Rigetta, CORTE D'APPELLO GENOVA, 15/12/2010)

FONTI  CED Cassazione, 2017 

 

Cass. civ. Sez. lavoro, 06-09-2016, n. 17639 (rv. 640823)

In tema di lavoro familiare, ai fini dell'individuazione del limite temporale del perdurare del diritto di prelazione e riscatto di cui al comma 5 dell'art. 230 bis c.c. deve aversi riguardo, in virtù del rinvio all'art. 732 c.c., al momento della liquidazione della quota, il quale coincide con il consolidarsi, alla cessazione del rapporto con l'impresa familiare, del diritto di credito del partecipe a percepire la quota di utili e di incrementi patrimoniali riferibili alla sua posizione, restando irrilevante la data del passaggio in giudicato della sentenza che su quel diritto ha statuito, in ragione del prodursi degli effetti della medesima alla data dello scioglimento del rapporto. (Rigetta, App. L'Aquila, 27/12/2013)

FONTI
CED Cassazione, 2016

 

Cass. civ. Sez. I, 02-12-2015, n. 24560

L'impresa familiare appartiene solo al suo titolare anche nel caso in cui alcuni beni aziendali siano di proprietà di uno dei familiari, a differenza dell'impresa collettiva che appartiene per quote, eguali o diverse, a più persone.

Nello schema dell'impresa di cui all'art. 230 bis c.c., gli utili non sono determinati in proporzione alla quota di partecipazione, ma alla quantità ed alla qualità del lavoro prestato, e, in assenza di un patto di distribuzione periodica, non sono naturalmente destinati ad essere ripartiti tra i partecipanti ma al reimpiego nell'azienda all'acquisto di beni. Pertanto, l'esclusione di una società implica l'inesistenza di quote e utili da ripartire tra i pretesi soci.

FONTI
Notariato, 2016, 2, 109
Vai alla pagina iniziale di diritto privato in rete