Giurisprudenza.
Cass. civ. Sez. lavoro, 15-11-2017, n.
27108
In tema di impresa familiare (art. 230
bis c.c.), la quota di partecipazione del familiare partecipante, che va
determinata esclusivamente in ragione della quantità e qualità del
lavoro prestato nell'impresa, è relativa nella stessa misura tanto agli
utili che agli incrementi, siano essi materiali o immateriali.
FONTI
Cass. civ. Sez. lavoro Ordinanza,
25-08-2017, n. 20406
Posto che il titolare dell'impresa
familiare è gravato degli obblighi di prevenzione in materia di salute e
sicurezza, il collaboratore che presti attività, pur al di fuori del
rapporto di lavoro subordinato o societario, ha diritto alla tutela
assicurativa, sicché, in caso di decesso conseguente a grave infortunio
sul lavoro, ai superstiti va riconosciuta la corrispondente rendita.
FONTI
Cass. civ. Sez. lavoro, 21-04-2017, n.
10147
In tema di impresa familiare, è
sufficiente, ai fini dell'operatività della prelazione di cui all'art.
230-bis, comma 5, c.c. , una volta accertata la partecipazione
all'attività, che vi sia stato un trasferimento d'azienda affinché il
familiare partecipe possa essere messo nelle condizioni di esercitare il
proprio diritto, risultando del tutto ininfluente che la cessione
avvenga mediante conferimento in una società di persone, di cui il
titolare dell'azienda stessa conservi un ruolo dominante quale socio
illimitatamente responsabile ed amministratore, poiché la norma tutela
il familiare estromesso e non colui che sia stato incluso nella vicenda
traslativa, senza che rilevi il requisito dell'estraneità di
cui all'art. 732 c.c. , norma richiamata dall'art. 230-bis solo "in
quanto compatibile". (Rigetta, CORTE D'APPELLO GENOVA, 15/12/2010)
FONTI CED Cassazione, 2017
Cass. civ. Sez. lavoro, 06-09-2016, n.
17639 (rv. 640823)
In tema di lavoro familiare, ai fini
dell'individuazione del limite temporale del perdurare del diritto di
prelazione e riscatto di cui al comma 5 dell'art. 230 bis c.c. deve
aversi riguardo, in virtù del rinvio all'art. 732 c.c., al momento della
liquidazione della quota, il quale coincide con il consolidarsi, alla
cessazione del rapporto con l'impresa familiare, del diritto di credito
del partecipe a percepire la quota di utili e di incrementi patrimoniali
riferibili alla sua posizione, restando irrilevante la data del
passaggio in giudicato della sentenza che su quel diritto ha statuito,
in ragione del prodursi degli effetti della medesima alla data dello
scioglimento del rapporto. (Rigetta, App. L'Aquila, 27/12/2013)
FONTI
Cass. civ. Sez. I, 02-12-2015, n.
24560
L'impresa familiare appartiene solo al
suo titolare anche nel caso in cui alcuni beni aziendali siano di
proprietà di uno dei familiari, a differenza dell'impresa collettiva che
appartiene per quote, eguali o diverse, a più persone.
Nello schema dell'impresa di cui
all'art. 230 bis c.c., gli utili non sono determinati in proporzione
alla quota di partecipazione, ma alla quantità ed alla qualità del
lavoro prestato, e, in assenza di un patto di distribuzione periodica,
non sono naturalmente destinati ad essere ripartiti tra i partecipanti
ma al reimpiego nell'azienda all'acquisto di beni. Pertanto,
l'esclusione di una società implica l'inesistenza di quote e utili da
ripartire tra i pretesi soci. Notariato, 2016, 2, 109 |
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