I
concetti di crisi e insolvenza
Fino ad ora abbiamo visto situazioni in cui il debitore è coinvolto in procedure dove non c’è l’intervento degli organi giudiziari. In questo capitolo, invece, ci occuperemo della gestione della crisi e dell’insolvenza del debitore affidata agli organi giudiziari, e cioè della parte che più da vicino sostituisce la precedente disciplina fallimentare. Anche in questo caso abbiamo un processo di natura speciale che si aggiunge a quello previsto dal codice di procedura civile e lo sostituisce per i soggetti coinvolti e le situazioni in esso previste. Prima di affrontare lo studio di questo processo è indispensabile richiamare due concetti fondamentali che abbiamo già visto nelle definizioni del codice, e cioè la crisi e l’insolvenza. a) «crisi»: lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi; ( art. 2 comma 1 lett. a mod. dal d.lgs. 83\2022) Come si vede si è infine giunti a definire cosa sia lo stato di crisi, una sorta di fase economico finanziaria che può probabilmente portare all’insolvenza, questa situazione varia, ovviamente tra debitore e debitore, ma per le imprese si manifesta in una crisi di liquidità, o meglio con la situazione in cui le previsioni degli incassi futuri potrebbero non essere adeguati a coprire le future obbligazioni per i successivi dodici mesi. b) «insolvenza»: lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Nella legge delega n. 155 \2017 che poi ha portato alla emanazione del codice si afferma all’art. 2 lettera c) che il codice dovrà mantenere la nozione d’insolvenza secondo quanto dispone l’art. 5 della legge fallimentare, e infatti nella definizione che abbiamo appena visto nella lettera b) si riproduce esattamente il testo dell’art. 5 della legge fallimentare, che così recita:“Lo stato d'insolvenza si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”. Rimaniamo quindi su questa definizione e commentiamola. 1. Le manifestazioni esteriori dello stato di insolvenza. Abbiamo dei comportamenti sintomatici dai quali si può desumere lo stato di insolvenza, il primo e più frequente è dato dagli inadempimenti: qui accade che lo stato d'insolvenza si manifesta quando l'imprenditore è inadempiente, ma può anche accadere che l'imprenditore non sia inadempiente pur trovandosi comunque in stato d'insolvenza. Non è però necessario che vi siano state precedenti azioni da parte dei creditori, come protesti e pignoramenti, (anche se ciò accade spesso) perché, ribadisce la corte di cassazione, è la situazione di incapacità del debitore a fronteggiare con mezzi ordinari le proprie obbligazioni a realizzare lo stato di insolvenza, quali che siano gli "inadempimenti" in cui si concretizza e i "fatti esteriori" con cui si manifesta (cass. n 4856\2006). Bisogna anche osservare che le manifestazioni dello stato di insolvenza non necessariamente si traducono solo in inadempimenti Il codice parla infatti di questi, ma anche di altri fatti esteriori da cui si desume l'insolvenza; ma quali sono tali fatti? Fermo restando che non si è voluto creare un catalogo chiuso di tali fatti, le ipotesi più frequenti sono quelle relative ai casi in cui è (poi) possibile agire in revocatoria, come il caso, già accennato, in cui si estinguano le obbligazioni con mezzi anomali, cioè attraverso una datio in solutum, oppure si costituiscano garanzie successivamente al sorgere del debito, o vi siano prestazioni sproporzionate a danno del debitore sottoposto alla liquidazione giudiziale (es. vendita sotto costo) e così via. 2. Il tipo di obbligazioni inadempiute. Altra osservazione da fare riguarda il tipo di obbligazioni che l'imprenditore non è più in grado di adempiere regolarmente; non bisogna credere che si tratti necessariamente di obbligazioni di carattere commerciale, visto che il codice non ne specifica il contenuto, né che si tratti di pagamenti (come disponeva l'art. 683 del codice del commercio), potendo anche manifestarsi con altri inadempimenti, ad es. l'imprenditore non consegna una merce già ordinata perché non può acquistare le materie prime per produrla. Soffermandoci sull'imprenditore, si può notare come questo, o meglio la sua impresa, può andare incontro a una serie di crisi, di tipo gestionale, con i contrasti che possono sorgere in merito alla sua gestione, o di tipo legale, nel senso che non sono rispettate le regole normative che premettono all'impresa di lavorare in maniera corretta, potendo rischiare, in tal caso, delle sanzioni che possono giungere fino alla chiusura. L'impresa, infine, può essere in crisi di liquidità, cioè non ha i mezzi per adempiere regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni; in quest'ultimo caso abbiamo l'insolvenza, ed infatti è questa la posizione della corte di cassazione. L'insolvenza si concreta, quindi, in uno stato di "illiquidità", che può derivare da difficoltà di reperire sul mercato le somme necessarie per far fronte ai debiti, ma anche da una difficoltà a reperire dalle banche il credito necessario per l'attività d'impresa; se ciò è vero, si vede che non ha molta importanza il fatto che l'impresa abbia un attivo superiore al passivo, ma diviene rilevante che vi sia questa crisi, questo "stato" e che questo non sia di natura temporanea, o una semplice difficoltà. 3.a "regolarmente". Abbiamo visto che l’insolvenza non si manifesta con l’incapacità per il debitore di soddisfare le sue obbligazioni , ma non deve essere in grado di soddisfarle regolarmente. Diviene allora necessario intendersi sul significato dell'avverbio "regolarmente". Di tutte le tesi che sono state proposte, quella più convincente, e in definitiva più lineare, fa riferimento alle regole previste per l'adempimento delle obbligazioni come indicate nel codice civile. Insomma se l'imprenditore intende soddisfare le sue obbligazioni con pagamenti ritardati, o con adempimenti non precisi o incompleti, o usando mezzi non normali di pagamento, non potrà certo parlarsi di "regolarità" nell'adempimento delle obbligazioni; di conseguenza ritardi nei pagamenti o comunque negli adempimenti, adempimenti non esatti, e\o veri e propri inadempimenti rendono chiaro che l'imprenditore è entrato in quella crisi che produce l'insolvenza. Ricordati questi fondamentali concetti, possiamo occuparci del Titolo III e porci una semplice domanda: a cosa serve questo Titolo III del codice? Per rispondere dobbiamo prendere le mosse dalla legge delega n. 155\2017 ed esattamente all’art. 2 lettera d) dove il legislatore obbliga il Governo ad adottare un unico modello processuale per l’accertamento dello stato di crisi e d’insolvenza. Il Governo ha adempiuto a questo obbligo; il Titolo III, infatti, si riferisce agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e si sforza di prevedere una regolamentazione processuale, per quanto possibile comune per queste procedure che sono: 1) La liquidazione giudiziale; 2) Il concordato preventivo; 3) Gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Abbiamo quindi un regolamentazione di queste procedure alquanto singolare, dove sono previsti dei tratti comuni e delle marcate differenze, e non poteva essere diversamente, perché la liquidazione giudiziale è volta a espropriare il debitore dei sui beni che poi saranno ceduti in modo che dal ricavato si possano soddisfare i creditori. Nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti si cerca, in definitiva, un compromesso con i creditori con l’intervento degli organi giurisdizionali per evitare la liquidazione giudiziale. Abbiamo quindi un nucleo comune di regole che si applicano a tutte le procedure per la regolazione della crisi e dell’insolvenza, con regole specifiche che si riferiscono alla liquidazione giudiziale, al concordato preventivo e agli accordi di ristrutturazione dei debiti.
Fino
adesso abbiamo visto la possibilità da parte del debitore di accedere ad
le procedure di composizione assistita della crisi.
Queste procedure,
come si è visto, si risolvono in un tentativo da parte del debitore di
risolvere i suoi problemi con i creditori, e non vedono un ruolo attivo
da parte del tribunale, ma semmai un ruolo decisamente attivo importante
svolge l'Ocri.
Non è detto però
che queste procedure posizione assistita della crisi vadano a buon fine,
anzi può darsi che non vi siano proprio, e allora si possono aprire
delle vere proprie procedure concorsuali davanti al giudice per, a
seconda delle situazioni, liquidare il patrimonio del debitore, oppure
cercare degli accordi con i creditori ma con l'intervento determinate da
parte dell'organo giurisdizionale.
Abbiamo quindi le
procedure di regolazione della crisi e dell'insolvenza che sono la
liquidazione giudiziale il concordato preventivo e gli accordi di
ristrutturazione dei debiti che dovranno essere omologati da parte del
tribunale.
Queste procedure
non riguardano tutti i debitori, ma solo quelli che si trovano in stato
di crisi e di insolvenza, escludendo quindi quelli che si trovano in
stato di sovraindebitamento.
Questi ultimi
soggetti avranno anche loro le procedure che li riguardano, ma sono
diverse dalle procedure di regolazione della crisi dell'insolvenza di
cui abbiamo andiamo parlare, ma non parleremo in maniera completa di
queste procedure di regolazione della crisi dell'insolvenza, perché il
codice ne parla in due parti diverse. Dobbiamo ricordarci infatti che la
legge delega ha imposto al Governo di regolare in maniera unitaria
l'accesso a tutte le procedure di regolazione della crisi e
dell'insolvenza.
Per non spezzare
quindi l'ordine del codice anche noi ci occuperemo dell'accesso alle
procedure di regolazione della crisi e dell'insolvenza, procedure che
devono essere, nei limiti del possibile, comuni a tutti e tre i casi che
abbiamo visto, anche se, necessariamente, lo stesso codice tratta in
maniera parzialmente diversa l'accesso alle dette procedure proprio per
la diversità sostanziale che vi è tra le stesse, visto che con la
liquidazione giudiziale si vuole appunto liquidare il patrimonio del
debitore insolvente, mentre col concordato preventivo e con gli accordi
di ristrutturazione dei debiti si vuole ottenere esattamente l'effetto
contrario, e cioè non giungere alla liquidazione del patrimonio del
debitore, ma trovare un accordo soddisfacente con i creditori.
Fatta questa premessa possiamo verificare gli aspetti processuali di
queste procedure.
In primo luogo c'è
da chiedersi chi è il giudice che ha giurisdizione in merito a queste
procedure.
Il giudice è il
giudice italiano, se il debitore ha in Italia il centro di interessi
principali, di cui abbiamo già parlato, ma che ripetiamo per comodità, e
quindi il centro di interessi principali del debitore (Comi) è il luogo
in cui il debitore gestisce i suoi interessi in modo abituale e
riconoscibile dai terzi. Il trasferimento all'estero del centro degli
interessi principali del debitore non esclude la giurisdizione italiana
se questo è avvenuto nell'anno precedente al deposito della domanda di
regolazione concordata della crisi o dell'insolvenza o di apertura della
liquidazione giudiziale, oppure dopo l'inizio della procedura di
composizione assistita della crisi se vi è stata precedentemente.
Vi è anche la
giurisdizione del giudice italiano quando il centro di interessi
principale del debitore è all'estero, ma questi ha una sua dipendenza in
Italia.
Stabilito che la
giurisdizione è del giudice italiano, vediamo quale dei diversi giudici
italiani ha la competenza ad occuparsi di queste procedure.
La competenza per
materia spetta al tribunale, e ora si tratta però di stabilire a quale
tribunale, e a tal fine dobbiamo distinguere il tribunale delle imprese
dal tribunale ordinario.
Per l'articolo 27
primo comma la competenza è del tribunale delle imprese per tutti
procedimenti di regolazione della crisi o dell'insolvenza e le
controversie che ne derivano relativi alle imprese in amministrazione
straordinaria gruppi di imprese di rilevante dimensione.
In tutti gli altri
casi, invece, la competenza spetta al tribunale ordinario.
Abbiamo quindi
individuato la competenza per materia, ora si tratta di verificare la
competenza per territorio. Per quanto riguarda la competenza per
territorio del tribunale delle imprese, questa è individuata a norma
dell'articolo 4 del decreto legislativo 27 giugno 2003 numero 168, avuto
riguardo al luogo in cui il debitore ha il centro degli interessi
principali.
Per quanto
riguarda la competenza per territorio del tribunale ordinario, sarà
competente quel tribunale dove si trova il centro degli interessi
principali del debitore.
A dire vero
l'articolo 27 terzo comma dà anche una serie di presunzioni per
agevolare questo compito in merito alla individuazione della competenza
per territorio del tribunale ordinario, ed infatti si presume che il
centro degli interessi principali del debitore sia coincidente se una
persona fisica eserciti un'attività di impresa con la sede legale
risultante dal registro delle imprese, o in mancanza la sede effettiva
dell'attività abituale;
per la persona
fisica non esercente l'attività d'impresa, con la residenza o il
domicilio, e se questi non sono sconosciuti con l'ultima dimora, e se
nemmeno questa si conosce, con il luogo di nascita. Se è sconosciuto
anche il luogo di nascita la competenza per territorio sarà del
tribunale di Roma.
Per quanto
riguarda la persona giuridica e gli enti anche se non esercenti
un'attività d'impresa, si presume che il centro degli interessi
principali sia quello risultante dal registro delle imprese, o in
mancanza o la sede effettiva o abituale.
Può darsi però che
il tribunale adito si dichiari incompetente, e questa decisione sarà
presa con ordinanza. Può darsi
che il tribunale dichiarato competente accetti la causa e quindi si
andrà avanti davanti a lui, ma può darsi pure che questi si ritenga a
sua volta incompetente.
In questa
situazione il secondo tribunale dovrà sollevare il regolamento di
competenza d'ufficio previsto dall'articolo 45 del codice di procedura
civile.
In ogni caso una
volta trasferita la causa davanti al tribunale competente, per
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