Revoca del fallimento

Come abbiamo visto il reclamo contro la sentenza di fallimento può essere accolto o meno; se è respinto, non cambia nulla, ma se è accolto si producono importanti effetti su quanto è già avvenuto.

Come regola generale, si dovrebbe far tornare tutto come era prima della dichiarazione di fallimento, e ciò è possibile restituendo al fallito tutto ciò che gli era stato tolto.
In questo caso, tuttavia, l'art. 18 l.f. al comma 15 pone un'eccezione al principio della restitutio in pristinum stabilendo che:

Se il fallimento è revocato, restano salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi della procedura.

Di conseguenza gli atti "legalmente" compiuti dagli organi della procedura, cioè atti non affetti da vizi, continueranno comunque a produrre i loro effetti nonostante il provvedimento di revoca; se ad es. il curatore ha legittimamente eseguito dei pagamenti, oppure può aver ricevuto degli acconti sul suo compenso ex art. 39 comma 3 l.f. queste somme non dovranno essere restituite al fallito.
È anche vero, però, che se i termini per il giudizio di reclamo sono rispettati, e se la corte fa buon uso del potere previsto dall'art. 19 l.f. ( sospendere la liquidazione dell'attivo in presenza di gravi motivi), i casi in cui (l'ex) fallito possa subire dei danni sono, in definitiva, abbastanza limitati;
d'altro canto il fallito può comunque aver subito questi e altri danni dal fallimento, poi revocato, ed è per questo motivo che l'art. 147 del d.p.r. n.115\2002 ( Testo unico in materia di spese di giustizia), prevede che il creditore può essere condannato per danni e a pagare le spese della procedura fallimentare "per aver chiesto la dichiarazione di fallimento con colpa"; ovviamente se il fallito vorrà ottenere anche i danni dal creditore procedente, dovrà avanzare tale richiesta nel reclamo depositato a norma dell'art. 18 l.f.
Sempre in merito alle spese della procedura fallimentare e per il compenso al curatore, lo stesso art. 147 del d.p.r. n.115\2002 prevede che queste possano essere addossate al fallito che ha ottenuto la revoca, quando " con il suo comportamento ha dato causa alla dichiarazione di fallimento".
Pensiamo al caso dell'imprenditore che pur non potendo fallire a norma dell'art. 1 l.f. (perché non superava nessuno dei tre parametri lì previsti), e pur essendo stato  regolarmente convocato, non si presenti alla istruttoria prefallimentare, provocando così il suo fallimento, poi revocato in seguito al suo reclamo.
Non è specificato, però, su chi debbano gravare le spese se il fallimento è revocato senza colpa del creditore o del fallito.  Si ritiene applicabile, in tal caso, l'art. 146 del d.p.r. n.115\2002 comma 3 lettera c)  che le addossa all'erario parificando il curatore all'ausiliario del magistrato di cui fa menzione la citata disposizione.

Ciò precisato, cerchiamo di elencare i principali effetti che invece si producono in seguito alla revoca del fallimento.

  1. cessa lo spossessamento del fallito;  questi riacquista la piena amministrazione dei suoi beni;
  2. cessano tutte le incapacità che l'avevano colpito;
  3.  il fallito riacquista la capacità processuale;
  4. gli atti da lui compiuti dopo la sentenza di fallimento acquistano  piena efficacia;
  5. cessano gli effetti delle azioni revocatorie, e bisogna restituire i beni a coloro cui erano stati sottratti;
  6. i creditori possono agire in via esecutiva contro il debitore.
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Sentenze rilevanti.

In caso di revoca della sentenza dichiarativa di fallimento, la liquidazione dei debiti di massa è atto dovuto, in quanto l'azienda viene restituita al fallito tornato in bonis, salvi gli effetti prodotti nelle more della procedura concorsuale. Il pagamento dei debiti di massa liquidati a seguito della revoca della sentenza dichiarativa di fallimento è rimessa all'iniziativa dei creditori ed è a carico del fallito in bonis o dello Stato in caso di ammissione al gratuito patrocinio e di ricorrenza dei relativi presupposti. Tribunale di Milano 25/09/2008.