Soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni

L'impossibilità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni costituisce lo stato d'insolvenza

Abbiamo riportato la definizione dell'art. 5 l.f. fallimentare che definisce ( ed è l'unico caso dove troviamo questa definizione ) l'insolvenza.

In realtà l'art. 5 ha un contenuto più complesso perché fa riferimento a due ipotesi, l'insolvenza vera e propria e gli indici, i sintomi, le manifestazioni esteriori, dell'insolvenza; vediamolo allora nella sua completezza.

 

lo stato di insolvenza si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni

Per comprendere la disposizione è necessario analizzarla nei suoi elementi più significativi, cominciando con le manifestazioni dello stato di insolvenza.

1. Le manifestazioni esteriori dello stato di insolvenza.

Come si vede abbiamo dei comportamenti sintomatici dai quali si può desumere lo stato di insolvenza;
il primo e più frequente è dato dagli inadempimenti;
qui accade che lo stato d'insolvenza si manifesta quando l'imprenditore è inadempiente, soprattutto nel caso in cui gli inadempimenti riguardino obbligazioni cambiarie, ma può anche accadere che l'imprenditore non sia inadempiente pur trovandosi comunque in stato d'insolvenza.
Non è però necessario che vi siano state precedenti azioni da parte dei creditori, come protesti e pignoramenti, (anche se ciò accade spesso) perché, ribadisce la corte di cassazione, è la situazione di incapacità del debitore a fronteggiare con mezzi ordinari le proprie obbligazioni a realizzare lo stato di insolvenza, quali che siano gli "inadempimenti" in cui si concretizza e i "fatti esteriori" con cui si manifesta (cass. n 4856\2006).

bisogna anche  osservare che le manifestazioni dello stato di insolvenza non necessariamente si traducono solo in inadempimenti
 
l'art. 5 parla infatti di questi, ma anche di altri fatti esteriori da cui si desume l'insolvenza; ma quali sono tali fatti?

Fermo restando che l'art. 5 non ha inteso creare un catalogo chiuso di tali fatti, le ipotesi più frequenti sono quelle relative ai casi in cui è (poi) possibile agire in revocatoria, come il caso, già accennato, in cui si estinguano le obbligazioni con mezzi anomali, cioè attraverso una datio in solutum, oppure si costituiscano garanzie successivamente al sorgere del debito, o vi siano prestazioni sproporzionate a danno del fallito (es. vendita sotto costo) e così via; ancora tutti i casi in cui il p.m. può agire per chiedere il fallimento, ex art. 7 l.f. come la fuga e latitanza dell'imprenditore, ma anche casi non previsti specificamente, come il suicidio dell'imprenditore, che costituisce spesso una tragica manifestazione della depressione in cui era caduto in seguito all'insolvenza.

2. Il tipo di obbligazioni inadempiute.

Altra osservazione da fare riguarda il tipo di obbligazioni che l'imprenditore non è più in grado di adempiere regolarmente; non bisogna credere che si tratti necessariamente di obbligazioni di carattere commerciale, visto che l'art. 5 non ne specifica il contenuto, né che si tratti di pagamenti (come disponeva l'art. 683 del codice del commercio), potendo anche manifestarsi con altri inadempimenti, ad es. l'imprenditore non consegna una merce già ordinata perché non può acquistare le materie prime per produrla.

3. L'insolvenza.

L'imprenditore, o meglio la sua impresa, può andare incontro a una serie di crisi, di tipo gestionale, con i contrasti che possono sorgere in merito alla sua gestione, o di tipo legale, nel senso che non sono rispettate le regole normative che premettono all'impresa di lavorare in maniera corretta, potendo rischiare, in tal caso, delle sanzioni che possono giungere fino alla chiusura.
L'impresa, infine, può essere in crisi di liquidità, cioè non ha i mezzi per adempiere regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni; in quest'ultimo caso abbiamo l'insolvenza, ed infatti è questa la posizione della corte di cassazione.
L'insolvenza si concreta, quindi, in uno stato di "illiquidità", che può derivare da difficoltà di reperire sul mercato le somme necessarie per far fronte ai debiti, ma anche da una difficoltà a reperire dalle banche il credito necessario per l'attività d'impresa; se ciò è vero, si vede che non ha molta importanza il fatto che l'impresa abbia un attivo superiore al passivo, ma diviene rilevante che vi sia questa crisi, questo "stato" e che questo non sia di natura temporanea, o una semplice difficoltà.
Se quindi l'imprenditore dimostrerà, nonostante la crisi di liquidità, di essere in grado di superarla in tempi brevi (magari perché deve ottenere un finanziamento, oppure perché la crisi è dovuta a particolari situazioni di mercato di natura transitoria), potrà evitare il fallimento anche se è stata presentata la relativa richiesta e anche se vi sono delle manifestazioni esteriori di insolvenza.

3.a "regolarmente".

Abbiamo visto che l'imprenditore per evitare il fallimento deve dimostrare di essere in grado, o almeno di esserlo in tempi brevi, di soddisfare le sue obbligazioni. Tuttavia non basta che l'imprenditore sia semplicemente in grado di soddisfare le sue obbligazioni, ma deve essere in grado di soddisfarle regolarmente e ricorrendo, tra l'altro, anche a mezzi che si possono ritenere normali nella vita di un'impresa.
Diviene allora necessario intendersi sul significato dell'avverbio "regolarmente".
Di tutte le tesi che sono state proposte, quella più convincente, e in definitiva più lineare, fa riferimento alle regole previste per l'adempimento delle obbligazioni come indicate nel codice civile. Insomma se l'imprenditore intende soddisfare le sue obbligazioni con pagamenti ritardati, o con adempimenti non precisi o incompleti, non potrà certo parlarsi di "regolarità" nell'adempimento delle obbligazioni; di conseguenza ritardi nei pagamenti o comunque negli adempimenti, adempimenti non esatti, e\o veri e propri inadempimenti rendono chiaro che l'imprenditore è entrato in quella crisi che produce l'insolvenza.

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