La responsabilità degli enti

Video, introduzione alla lezione 2 


Cerchiamo di rispondere alla questione posta nel precedente paragrafo; solo l’uomo può essere soggetto attivo di un reato? 

Escludendo gli animali, la nostra attenzione si sposta sugli enti, cioè sui soggetti di diritto non esistenti in natura ma frutto di una creazione giuridica.

Gli enti esistono per il diritto e sono direttamente responsabili per le loro condotte sia per il diritto civile sia per il diritto amministrativo. Sono spesso persone giuridiche, e anche quando non lo sono non si nega più che siano soggetti di diritto.

Questi possono essere soggetti attivi di un reato?

La questione si pone in relazione alla responsabilità degli enti di cui al d.lgs. 231\ 2001 e successive modifiche.

La norma rende responsabili gli enti per i reati commessi da soggetti che ne fanno parte; in altre parole se un soggetto che fa parte dell’ente commette un reato, oltre alla sua responsabilità penale, potrà far sorgere anche la responsabilità dell’ente.

La norma definisce questa responsabilità come amministrativa, ma poi pone dei principi per questo tipo di responsabilità che sono quelli delle norme penali come il principio di legalità e irretroattività ( art. 2) e quello delle successioni delle leggi nel tempo ( art. 3). Si tengano a mente tali principi in relazione a quanto si dirà poi.

Vediamo quindi, chi sono gli enti che vanno incontro a questo tipo di responsabilità.

 

  • Enti responsabili (art. 1 d.lgs. 231\ 2001):  enti forniti di personalità giuridica le società e associazioni anche prive di personalità giuridica.
  • Enti non responsabili: lo Stato, agli enti pubblici territoriali, enti pubblici non economici, enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.

 

La responsabilità dell’ente sorge solo se un certo soggetto ha commesso un determinato reato, e c’è da osservare che tale responsabilità non sarà dovuta a una sorta di concorso nel reato dell’ente, ma sorge per specifiche responsabilità dell’ente.

Vediamo allora chi sono i soggetti che, commettendo un reato, possono far sorgere la responsabilità dell’ente.

 

Secondo l’art. 5 del citato decreto legislativo rubricato responsabilità dell’ente:

 

“L'ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:

a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso;

b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a).

L'ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi”.

 

Si tratta, in definitiva o di soggetti posti in posizione apicale (anche di fatto) nell’organizzazione dell’ente o di soggetti che sono sottoposti alle direzione o vigilanza dei primi.

Ma perché l’ente è responsabile?

In primo luogo perché le persone di cui sopra hanno agito nell’interesse o vantaggio dell’ente, e anche perché l’ente non ha realizzato una specifica organizzazione e specifici protocolli volti a impedire la commissione di reati da parte dei soggetti indicati nell’art.5.

In altre parole si rimprovera all’ente di non aver individuato degli specifici protocolli “anti reato” di non aver individuato un soggetto che si occupasse del rispetto di questi protocolli o, anche avendolo individuato, non avergli fornito sufficienti poteri per intervenire o non averli usati.

Tutto ciò si comprende dalla lettura del primo comma dell’art. 6 secondo cui per  i reati commessi da soggetti in posizione apicale:

Se il reato è stato commesso dalle persone indicate nell'articolo 5, comma 1, lettera a), l'ente non risponde se prova che:

a) l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;

b) il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;

c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;

d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo di cui alla lettera b)”.

 

La responsabilità dell’ente è definita, dall’art. 8, autonoma, tanto che risponde anche quando
a) l'autore del reato non è stato identificato o non è imputabile;
b) il reato si estingue per una causa diversa dall'amnistia.

La sanzione pecuniaria che grava sull’ente è determinata dal giudice con il sistema delle quote.

Il giudice, cioè, prima calcola in numero delle quote in relazione alla gravità del reato commesso dalla persona fisica (art. 11)  del grado della responsabilità dell'ente nonché dell'attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti, e poi  stabilisce il valore di ogni singola quota; ad es. se l’amministratore ha commesso il reato x il giudice, in base alla legge, determina il numero di quote ( ad es. 100) e poi determina il valore di ogni singola quota secondo i parametri indicati dalla legge ( ad es. 300 euro per quota).

Moltiplicando i due valori avremo la misura della sanzione ( 100x300 = 30.000 euro).

Oltre a ciò il giudice può disporre una serie di sanzioni interdittive (artt. 14-16) contro l’ente che possono giungere fino all’ interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività dell’ente.

Per l’art. 19 è poi sempre disposta la confisca  con la sentenza di condanna,  del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato.

Consideriamo, infine, che il giudice che dispone le sanzioni è il giudice penale competente per i reati commessi dalle persone fisiche e non quello amministrativo, e per il procedimento di accertamento dell'illecito amministrativo dell'ente si osservano le disposizioni sulla composizione del tribunale e le disposizioni processuali collegate relative ai reati dai quali l'illecito amministrativo dipende ( art. 37). C’è anche la previsione circa la nomina di un difensore d’ufficio per l’ente (art. 40) oltre a altre regole di natura processuale penale.

Insomma l’ente è trattato dalla legge in maniera non molto dissimile da un imputato.

Si può quindi affermare, dopo tutto quello che abbiamo visto, che l’ente sia responsabile solo in via amministrativa?

Parte della dottrina lo nega, sostenendo che nonostante quanto dichiarato dal legislatore, la responsabilità dell’ente sia di natura penale.

La cassazione a sezioni unite (sent. n. 38343) tra l’altro ha affermato che il sistema di cui si discute (cioè della responsabilità degli enti) ha evidenti ragioni di contiguità con l’ordinamento penale: “ Sicché, quale che sia l’etichetta che si voglia imporre su tale assetto normativo, è dunque doveroso interrogarsi sulla compatibilità della disciplina legale con i principi costituzionale dell’ordinamento penale”.

In definitiva la cassazione ritiene questa responsabilità come un tertium genus di responsabilità, tra quella penale e quella amministrativa (cass.  sent. n. 26654\2008; 36083\2009; 3615\2005).

Alla luce di quanto visto sino ad ora, possiamo finalmente rispondere alla domanda: solo l’uomo può essere soggetto attivo di un reato?

Formalmente sì, perché il reato è caratterizzato dalle pene per esso previste e queste si applicano solo a un uomo, anche quando sono pecuniarie; dal punto di vista formale l’ente non può essere condannato alla multa o all’ammenda, non commette reati e quindi non può essere soggetto attivo di un reato.

Sostanzialmente, però, la questione è ancora aperta e si può per lo meno mettere in dubbio l’affermazione ricorrente secondo cui solo la persona fisica può essere soggetto attivo di un reato e che, di conseguenza: societas delinquere non potest.