Il possesso di buona fede e il principio dell'articolo 1153

possesso di buona fede
(art.
1147 c.c.)

è il possesso di un bene che si svolge ignorando di ledere un altrui diritto

Abbiamo spesso accennato al possesso di buona fede, ed abbiamo anche visto che questa qualificazione del possesso produce importanti conseguenze in capo al possessore; se è in buona fede, può  avvalersi della usucapione abbreviata, può far suoi i frutti naturali e civili fino al momento della domanda giudiziale, o, ancora, può ritenere la cosa finché non gli siano corrisposte le indennità dovutegli per i miglioramenti recati alla cosa.

Ma quando il possessore è in buona fede?

Rispondiamo: quando non sa che il suo possesso lede l'altrui diritto.

Questa situazione può verificarsi, ad esempio, quando il possessore riceve il bene da un soggetto che con abili manovre si spaccia per titolare del diritto;
in questo caso il possessore è convinto di agire in maniera corretta, credendo di ricevere il bene dal vero titolare del diritto ed è, quindi, in buona fede.

Come si vede la buona fede di cui all'art. 1147 è un atteggiamento dalla psiche, è, quindi, buona fede soggettiva da non confondere con la buona fede oggettiva cui fanno riferimento numerosi articoli del codice (ad es. l'art. 1375) dove è intesa come regola di comportamento corretto.

Il possessore di buona fede è, quindi, una persona che è caduta in un errore, ma non si può tollerare che ci si possa avvantaggiare del proprio errore in tutti i casi; il secondo comma dell'art. 1147 dispone, infatti, che la buona fede non giova se l'ignoranza di ledere l'altrui diritto deriva da colpa grave;
l'esistenza della colpa grave va accertata caso per caso, ma certamente ricorre quando il possesso è stato conseguito senza un minimo di attenzione, attenzione che, se attivata, avrebbe fatto sorgere un dubbio o un sospetto. In ogni caso il presentarsi del dubbio o del sospetto nella mente del possessore è incompatibile con la buona fede che è pur sempre piena ignoranza della lesione dell'altrui diritto.

L'art. 1147 pone, infine, al terzo comma altre due importanti regole.

  1. ai fini processuali la buona fede è presunta; sarà, in altre parole, chi la contesta a dover provare la mala fede del possessore

  2. per aversi buona fede idonea a produrre gli effetti previsti dalla legge, basta che questa vi sia stata al momento dell'acquisito, essendo ininfluente la mala fede successiva.

Passiamo, ora, alla più importante applicazione del principio di buona fede contenuta nell'art. 1153 relativo al possesso di beni mobili;

ebbene, secondo questo articolo il possesso di beni mobili ricevuto da chi non è il proprietario fa acquistare la proprietà al possessore se:

  1. il possesso è stato conseguito in buona fede al momento della consegna

  2. esiste un titolo astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà

Come si vede la buona fede gioca un ruolo determinante nell'acquisto della proprietà, tanto determinante che ricorrendo anche gli altri elementi della consegna e del titolo, il bene si acquista libero da diritti altrui, a titolo originario. Di conseguenza il proprietario non potrà rivendicare il bene, e nemmeno gli altri titolari di diritti sul bene potranno farli valere, a meno che questi diritti non risultavano dal titolo (astrattamente idoneo) di acquisto del possessore. 

Interessante è regola dell'art. 1154 c.c. sempre relativa alla buona fede nell'acquisto di beni mobili; abbiamo già accennato al fatto che la buona fede è soggettiva e deve, di conseguenza, riguardare il solo possessore; ebbene se il possessore di buona fede aliena il bene ad una terza persona che sa della illegittima provenienza della cosa, questa persona non vedrà fatto salvo il suo acquisto proprio perché è in mala fede.

Sempre secondo l'art. 1153 come si può acquistare la proprietà sui beni mobili, allo stesso modo si possono acquistare sui beni mobili i diritti di usufrutto, di uso e di pegno.

Ricordiamo, infine, che la regola esposta nell'art. 1153 non si applica alle universalità di mobili e ai beni mobili registrati (art. 1156 c.c.).

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