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interpretazione e qualificazione del contratto
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	Tale questione non è senza rilievo, perché è possibile che le parti si siano 
	riferite in modo generico al domicilio, volendo comprendere anche la 
	residenza. Può quindi sorgere un problema d’interpretazione, e se rimane il 
	disaccordo circa il contenuto dell'atto, sarà necessario ricorrere alle 
	norme del codice per dirimere la questione.
	Il codice civile, infatti, dedica numerosi articoli (dal 1362 al 1371) alla 
	interpretazione dei contratti, norme che si e soliti dividere in due 
	categorie, quelle sulla interpretazione soggettiva e le altre relative alla 
	interpretazione oggettiva, da utilizzarsi quando non si è riusciti, tramite 
	il criterio soggettivo, a risolvere i dubbi interpretativi. Tra i due gruppi 
	di norme s’inserisce quella contenuta nell'art. 1366 c.c. secondo cui il 
	contratto deve essere (sempre) interpretato secondo buona fede, buona fede 
	intesa in senso oggettivo, come regola di condotta da seguire.
Prima di analizzare le norme 
	sull’interpretazione, è necessario puntualizzare che il contratto deve 
	sempre essere interpretato in maniera "oggettiva", nel senso che non si 
	andrà a ricercare quella che è stata la reale volontà di ogni parte, (spesso 
	recondita e inafferrabile) ma quella che appare all'esterno come volontà 
	comune delle parti, e ciò per esigenze di tutela dell'affidamento e di certezza 
	dei rapporti giuridici. Anche in questo caso, quindi, il principio 
	dell’affidamento, in stretta connessione con quello della buona fede, 
	diventa uno dei parametri fondamentali che deve essere seguito per giungere 
	a una corretta interpretazione del contratto. 
	Ricordiamo, inoltre, le norme sull’interpretazione si applicano, se 
	compatibili, anche agli altri negozi giuridici unilaterali, dove, ovviamente 
	non si porrà il problema di ricercare la “comune intenzione della parti”, ma 
	l’intenzione dell’autore dell’atto e qui si potrebbe anche porre il problema 
	di un’interpretazione di carattere anche soggettivo e non solo oggettivo 
	dell’atto. La ricerca, però, assume caratteri particolari nel testamento, 
	che ha regole specifiche dedicate alla sua interpretazione, come nel caso 
	dell’art. 625 c.c. La particolarità si giustifica per il fatto che il 
	testamento, pur essendo atto di natura patrimoniale, è anche un negozio 
	mortis causa, dove è ovviamente impossibile rivolgersi al suo autore per 
	ottenere chiarimenti. Cominciamo, quindi, a elencare le  regole 
	interpretative previste dal codice civile, dette
	di interpretazione soggettiva:
Nel caso in cui nonostante l'applicazione delle 
	regole che abbiamo appena visto, rimangano dei dubbi circa la comune 
	intenzione delle parti, sarà necessario applicare le norme 
	sull’interpretazione oggettiva.
	Lo scopo di questo secondo gruppo di norme è diverso da quello concernente 
	l’interpretazione soggettiva.
	In questi casi, infatti, più che ricercare la comune intenzione delle parti, 
	tentativo già fallito, si prova a dare un significato all'atto per evitare 
	che questo sia inapplicabile, e ciò per motivi di conservazione e di equità. 
	Passiamo alla interpretazione 
	oggettiva (è volta a dare un significato al contratto nel caso in cui 
	non si sia riusciti ad individuare la comune intenzione delle parti).
Le norme sull’interpretazione oggettiva si chiudono 
	con l'art. 1371 c.c. che detta le regole finali nel caso in cui nemmeno con 
	l'applicazione delle norme appena viste 
	si sia riusciti nella interpretazione. Qui si distinguono i contratti a 
	titolo gratuito da quelli a titolo oneroso.
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