Claudio Mellone, Manuale di Diritto Privato
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Rappresentanza apparente

Abbiamo visto i casi della falsa rappresentanza e abbiamo anche visto che il falsamente rappresentato non è vincolato agli atti compiuti dal falso rappresentante, che quindi non possono essergli opposti, salvo che non decida di ratificarli.
La situazione che nasce dalla rappresentanza apparente è quindi la stessa, e le conseguenze, si potrebbe pensare, non potrebbero essere diverse dal caso del falso rappresentante.
Tuttavia la giurisprudenza ha preso in considerazione un caso particolare di falsa rappresentanza, non regolato dal codice civile, dove è vero che non c’è stata procura, ma è anche vero che non solo un soggetto ha agito come falso rappresentate, ma è anche accaduto che l’interessato, il falsamente rappresentato, si è comportato in modo tale da far ragionevolmente credere ai terzi che chi agiva per lui fosse per davvero il suo rappresentante.
Il rappresentato apparente, quindi, agisce colposamente, perché di fronte all’uso del suo nome da parte del rappresentante apparente, non interviene per render chiaro che non ha conferito alcun potere di rappresentanza, tanto da ingenerare nei terzi la ragionevole convinzione che il potere rappresentativo esista per davvero.

Il più delle volte questo comportamento colposo si traduce nella tolleranza del rappresentato apparente nei confronti dell’attività del rappresentante apparente, come nel caso del proprietario di un bar che avendo ceduto l’attività a un suo dipendente, cedendo anche la ditta, non renda noto ai terzi, (con mezzi idonei l’avvenuta cessione, e non iscrivendo il relativo contratto di cessione di azienda nel registro delle imprese), che il bar è stato ceduto, mentre il rappresentante apparente, ex dipendente e nuovo titolare, continua ad agire a suo nome.
È facile capire che un comportamento siffatto genera nei terzi il ragionevole affidamento che titolare del bar sia sempre il vecchio titolare, mentre rappresentante sia il suo ex dipendente, in realtà nuovo titolare del bar.
Con questa figura, quindi, la finzione prevale sulla realtà e il rappresentato apparente dovrà quindi onorare gli impegni assunti dal suo rappresentante apparente.

La rappresentanza apparente si caratterizza, quindi, per due elementi:
a) che l’apparenza sia riconducibile alla condotta del falsamente rappresentato;
b) che i terzi abbiano in buona fede ritenuto che tale apparenza corrispondesse a una situazione reale.

 Sui terzi che confidano sull’effettiva esistenza del potere rappresentativo, è necessario, però, fare una precisazione. Qui non basta la sola buona fede (soggettiva) del terzo.  Spieghiamoci.

È chiaro che il terzo non potrà mai essere tutelato quando sa che chi agisce in nome e per conto altrui non è il vero rappresentate, e quindi deve trovarsi in situazione di buona fede soggettiva, ma è anche vero che solo questa buona fede non basta.

Posto che il terzo non era conoscenza della situazione reale, non sarà tutelato quando poteva accorgersi, usando l’ordinaria diligenza, dell’inesistenza della rappresentanza. Nell’esempio fatto della cessione del bar, non si potrà invocare la rappresentanza apparente, quando il vecchio titolare del bar aveva provveduto a iscrivere il contratto di cessione di azienda nel registro delle imprese.

L’apparenza non è un principio estraneo al nostro ordinamento.

Abbiamo, infatti, il caso dell’erede apparente, ex art. 534 comma 2 c.c. che fa salvi gli acquisti effettuati da terzi in buona fede dall’erede apparente, oppure il famoso principio ex art. 1153 c.c. o, ancora, l’art. 1189 comma 1 c.c. in merito all’effetto liberatorio del pagamento effettuato al creditore apparente, o, infine dalla stessa regola stabilita in tema di rappresentanza dall’art. 1396 comma 2, in merito alla revoca della procura.  Sappiamo, infatti, che quando si revoca o modifica la procura, e tali attività non sono portate a conoscenza dei terzi con mezzi idonei, il rappresentato (diventato rappresentato apparente) non può opporre a tali terzi tali fatti, salvo che provi che ne erano comunque a conoscenza.  Certe applicazioni giurisprudenziali del principio dell’apparenza lasciano però perplessi, come nel caso del fallimento del socio apparente o della società apparente.
Si verifica tale situazione quando ci si comporta come socio di una società, mentre in realtà non se ne fa parte (vedi ad. es. Cass. civ., Sez. I, 26/09/2003, n. 14338), oppure quando si tiene un comportamento atto ad ingenerare il convincimento incolpevole, nei terzi, della sussistenza di un vincolo sociale di una società di persone (Cass. civ., Sez. I, 14/02/2001, n. 2095). Anche qui esiste certamente un affidamento da tutelare e la colpa dei soci apparenti, ma poiché una società ha relazione che diversi soggetti, accadrebbe che il socio apparente (o la società apparente)  possa fallire solo per quei terzi che in buona fede non si erano accorti dell’apparenza, mentre non potrebbe fallire per gli altri terzi che in realtà sapevano la verità. Una conclusione, quindi, difficile da accettare.

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