Definiti anche come " consuetudine " possono essere individuarsi in:
regole di comportamento osservate dai
consociati per un periodo di tempo in modo costante uniforme con la
convinzione |
Come si vede dalla definizione riportata nella tabella, per aversi un uso, o consuetudine, sono necessari dei presupposti che possiamo identificare in:
1 | Ripetizione generalizzata di un comportamento nell'ambito di una categoria sociale protrattosi per un determinato lasso di tempo |
2 | Convinzione generalizzata che tale comportamento sia sentito dalla comunità come giuridicamente vincolante |
Gli usi sono espressamente indicati come fonti del diritto dall'art. 1 delle
disposizioni sulla legge in generale, mentre la loro efficacia è disciplinata
nel successivo art. 8 ; abbiamo già visto in che cosa consistono e, per quelle
loro caratteristiche, non devono essere confusi con la prassi, poiché questa può
essere anche non generalizzata, e nel caso lo sia, è seguita senza
che ritenere che sia doverosa, pensiamo ad esempio alla prassi delle mance;
in definiva mentre l'uso è comunque un comportamento doveroso, tale non è la
prassi che è seguita per ragioni di opportunità o di convenienza.
Gli usi che qui prendiamo in considerazione come fonte del diritto sono
quelli richiamati nell'art. 8 disp. prel. , cioè gli "usi normativi";
tali usi sono efficaci se richiamati in una norma di legge, come nel caso
dell'art. 1374 c.c. si parla in questi casi di
usi "secundum legem";
Quando, invece, l'uso non è richiamato, ma è comunque di fatto esistente, è
anch'esso fonte del diritto, ma fonte autonoma proprio perché non richiamato;
si parla in questi casi di uso praeter legem. È bene chiarire che in questo
caso l'uso è fonte del diritto solo se non vi sia una norma di legge che regoli
la fattispecie prevista dall'uso, poiché non è ammissibile la vigenza di un uso
"contra legem", cioè contrario ad una legge o a un regolamento.
Secondo parte della dottrina l'uso praeter legem può essere impiegato non solo
quando manchi una specifica norma di legge, ma anche quando non sia possibile
regolare la situazione concreta ricorrendo all'analogia.
Gli usi normativi non devono essere confusi con gli usi negoziali e
interpretativi, previsti nella materia contrattuale ( art.
1340 c.c.);
L'art. 1340, infatti, fa riferimento all'uso come mezzo d'integrazione del
contratto, come una clausola che di solito è inserita nei contratti stipulati in
una certa zona; gli usi interpretativi sono pur sempre di natura negoziale (
art. 1368 c.c.) ma hanno lo scopo d'interpretare
la volontà contrattuale quando questa sia stata espressa in modo ambigua dai
contraenti.
Gli usi sono di solito pubblicati in raccolte ufficiali redatte da enti a ciò
autorizzati, ( di regola le camere di commercio) ma queste raccolte non
costituiscono prova certa dell'esistenza e vigenza dell'uso, poiché è pur sempre
possibile fornire prova contraria ( art. 9 disp. prel.);
d'altro canto il giudice, in mancanza di detta prova contraria, darà efficacia
probatoria all'uso senza che debba procedere ad ulteriori accertamenti.