Risarcimento del danno

nozione

si verifica quando il debitore non esegue, esegue in maniera inesatta o ritarda l'esecuzione  della prestazione e consiste nella corresponsione di una somma di danaro equivalente al danno subito (risarcimento per equivalente) o alla rimozione diretta del danno (risarcimento in forma specifica)
 
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Come abbiamo già osservato l'inadempimento può far nascere in capo al debitore una responsabilità del danno eventualmente subito dal creditore. Abbiamo anche visto che non ogni inadempimento fa nascere responsabilità, ma solo quello attribuibile al debitore, quello cioè che nasce dalla sua mancanza di diligenza nell'eseguire una prestazione.

In questa sede ci occupiamo della figura risarcimento del danno dovuto da inadempimento delle obbligazioni, ma norme particolari valgono in sede di inadempimento extracontrattuale, di cui ci siamo già occupati, o per specifiche ipotesi previste da singole disposizioni di legge.

Stabilito che l'inadempimento dell'obbligazione provoca, alle condizioni già dette, il risarcimento del danno, vediamo quando il  creditore può chiederlo e in che misura.

Il codice civile dedica al risarcimento del danno per inadempimento (o ritardo) delle obbligazioni gli articoli 1223 e seguenti.

La ricostruzione dell'istituto è nel codice semplice e lineare, ma non priva di problemi interpretativi, come vedremo in seguito.
Vediamola nei suoi punti essenziali;

  1. l'art. 1223 dispone che il risarcimento del danno è dovuto per la perdita subita e il mancato guadagno subiti dal creditore quando  siano conseguenze "immediate e dirette" dell'inadempimento o del ritardo.
  2. si vuole, quindi, che vi sia un rapporto di causa effetto tra inadempimento e danno (o danni) concretizzatisi nella perdita subita e nel mancato guadagno
  3. l'art. 1223, però, non vuole che il debitore debba rispondere di tutti i possibili danni causati dall'inadempimento, ma solo di quelli che ne siano la conseguenza "immediata e diretta"

Rapporto di causa ed effetto, nesso di causalità, che non può mancare per far sorgere la responsabilità.

È anche vero, però, che bisogna considerare anche come il debitore ha posto in essere l'inadempimento, perché può darsi che l'abbia fatto per colpa, ma può anche darsi abbia voluto non adempiere, agendo dolosamente.

Questo atteggiamento del debitore non è senza conseguenze, vediamo perché:

  1.  nell'ambito delle conseguenze immediate e dirette dell'inadempimento ve ne saranno alcune "prevedibili" ed altre "imprevedibili"
  2. il debitore che ha agito con colpa risponde solo delle conseguenze, e quindi dei danni, "prevedibili"
  3. il debitore che ha agito dolosamente risponde non solo delle conseguenze, e quindi, dei danni "prevedibili" ma anche dei danni "imprevedibili" (art. 1225 c.c.).

Questo disciplina lineare rischia, però, di essere messa parzialmente in crisi quando andiamo a chiederci che cosa intendiamo per conseguenze "immediate e dirette" dell'inadempimento o, che è la stessa cosa, quando c'è il nesso di causalità tra inadempimento e danno.

In merito quest'ultimo punto si distinguono due teorie fondamentali sul nesso di causalità:

la teoria della condicio
sine qua non

detta anche dell'equivalenza causale considera tutte le cause idonee a produrre un certo effetto. Di conseguenza il debitore potrebbe essere sempre responsabile dei danni subiti dal creditore poiché può aver messo in moto la prima delle condizioni, o delle cause, che hanno provocato il danno

la teoria della causalità adeguata

meno rigorosa dal punto di vista scientifico, ma più idonea dal punto di vista giuridico, questa teoria prende in considerazione come causa di un certo fatto solo quella che appare normalmente idonea a produrlo

Tra le due teorie la più seguita dalla giurisprudenza, e da parte della dottrina, è quella della causalità adeguata.
Il debitore, secondo quest'ultima tesi, non è responsabile dei danni subiti dal creditore quando intervenga un fatto del tutto distinto e autonomo dal suo inadempimento, che sia idoneo a produrre l'evento. In questi casi si avrebbe quindi, un'interruzione del nesso di causalità e il debitore non sarebbe responsabile per i danni subiti dal creditore.
Tale nuova causa potrebbe consistere nel fatto di un terzo, ma anche nell'attività dello stesso creditore.
Accogliendo la teoria della causalità adeguata si afferma, in definitiva, che non sono attribuibili al debitore i danni causati da fattori eccezionali, che, per essere tali, sono anche imprevedibili.
Ragionando in tal modo, però, si finisce col svuotare di significato la regola dell'art. 1225 che attribuisce al debitore che agisce in dolo anche i danni imprevedibili, e ciò perché in presenza di queste situazioni vi è interruzione del nesso di causalità che provoca sempre la mancanza di responsabilità del debitore, che deve rimanere limitata solo alle conseguenze che normalmente producono un certo danno, in definitiva a quelle prevedibili. 
Del problema se ne accorta la giurisprudenza  che pure accogliendo la teoria della causalità adeguata, riconosce l'esistenza del nesso di causalità anche quando, secondo la teoria dell'adeguatezza causale, questo andrebbe escluso, comprendendo fra i danni provocati dal debitore anche fattori che possono considerarsi eccezionali.

Tornando alla quantificazione del risarcimento del danno, l'art. 1223 dispone che  deve comprendere sia la perdita subita e mancato guadagno.

Ma che s'intende per perdita subita e mancato guadagno?

I due concetti vengono anche indicati come danno emergente e lucro cessante

danno emergente, cioè la perdita subita il danno emergente si quantifica secondo la perdita che ha subito il patrimonio del creditore dalla mancata, inesatta o ritardata prestazione del debitore
lucro cessante, cioè il mancato guadagno si fa riferimento ad una situazione futura, e non ad una presente come quella che abbiamo visto nel danno emergente. In questo caso si guarda alla ricchezza che il creditore non ha conseguito in seguito al mancato utilizzo della prestazione dovuta dal debitore. Trattandosi di evento futuro e solo prevedibile, per ottenere il risarcimento sarà necessaria una ragionevole certezza circa il suo accadimento

Danno emergente lucro cessante individuano, quindi, due concetti diversi anche dal punto di vista temporale in quanto il primo si è già prodotto mentre il secondo, cioè il lucro cessante, deve ancora prodursi o, meglio, indica un guadagno che si sarebbe prodotto se non vi fosse stato d'inadempimento del debitore. Possiamo parlare di lucro cessante quando, ad esempio, il creditore non riesca a ottenere un macchinario dal debitore. In questo caso il debitore dovrà risarcire anche il mancato guadagno che il creditore avrebbe realizzato se la macchina fosse stata fornita e utilizzata per la sua attività.
Nel lucro cessante si è soliti includere la perdita di chance, cioè la perdita di opportunità, la perdita di un occasione favorevole in seguito alla lesione subita.
Si comprende come non sia facile dimostrare un danno del genere, perché la chance, l’opportunità non significa che il danneggiato ha sicuramente perso un guadagno futuro o una futura posizione favorevole, ma che probabilmente ha subito tale perdita.
Si pensi a chi è stato ingiustamente escluso da un concorso pubblico, che poteva vincere.

Tra le tante massime della giurisprudenza, è interessante quella del tribunale di Desio  del 6 giugno 2007:
“Presupposto per il risarcimento del danno da perdita di "chances" è la prova, da fornirsi ad opera del danneggiato, del fatto che, in assenza della condotta che si assume dannosa, vi sarebbe stata (non la certezza, bensì) la ragionevole probabilità di conseguire il risultato utile sperato.
Grava dunque su chi agisce per ottenere il risarcimento l'onere di dimostrare che egli vantava non una mera e generica aspettativa bensì un concreto e ragionevole affidamento circa la consecuzione dell'esito favorevole, il tutto pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità. Il presunto danneggiato deve, quindi, fornire elementi utili a dimostrare che, in assenza della condotta illecita, egli avrebbe avuto una seria possibilità di raggiungere il risultato sperato e cioè, parlando in termini probabilistici, una percentuale non dell'1% o del 10% ma almeno del 30-40% (Danno e Resp., 2008)".

Può accadere, infine, che il danno sia stato anche cagionato per l'attività colposa del creditore o dalla sua negligenza.
Questa ipotesi, tutt'altro che infrequente nella realtà, è disciplinata dall'articolo 1227 c.c. secondo cui:

  1. se il creditore colposamente ha contribuito a provocare il danno, il risarcimento dovuto dal debitore è diminuito secondo la gravità della colpa del creditore e delle conseguenze che ne sono derivate;

  2. se il creditore, usando l'ordinaria diligenza, avrebbe potuto evitare il prodursi del danno, non avrà diritto al suo risarcimento.

Norme particolari sono previste per i danni provocati dall'inadempimento delle obbligazioni pecuniarie di cui siamo già occupati in precedenza.
Possiamo ricordare brevemente che l'articolo 1224 c.c. dispone che al creditore sono dovuti a titolo di risarcimento del danno, gli interessi che si sono maturati sulla somma dovuta dal giorno della mora, e questo è vero anche quando il creditore non provi di aver subito alcun danno. Se però il creditore ritiene aver subito un danno superiore alla misura gli interessi legali che gli debbono essere corrisposti, dovrà provarne l'ammontare e, una volta raggiunta la prova, gli spetterà l'ulteriore risarcimento oltre alla misura degli interessi legali a lui dovuti.

Ricordiamo, infine, una sorta di norma di chiusura contenuta nell'art. 1226 del codice civile; si prevede la possibilità che nonostante l'accertamento del danno, non si riesca a provarlo nel suo preciso ammontare; in tal caso il giudice lo liquida secondo equità.

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